IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 6574 del 2006 proposto da D'Ajello di Sant'Irene Armando, rappresentato e difeso dall'avv. Pasquale Lambiase e Maurizio Forestieri, presso lo studio del primo elettivamente domiciliato in Napoli, alla via Cuma n. 28; Contro il Comune di San Giuseppe Vesuviano (Napoli), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Renzulli ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Valerio Barone in Napoli, alla piazza Sannazzaro n. 71; il responsabile pro tempore del Servizio LL. PP. ed urbanistica e dell'Ufficio espropri del Comune di San Giuseppe Vesuviano; non costituito in giudizio: per l'annullamento del decreto n. prot. 2006 0020376, emanato il 10 luglio 2006 e notificato il giorno 17 successivo, con cui il responsabile del Servizio LL. PP. urbanistica ed Ufficio espropriazioni del Comune di San Giuseppe Vesuviano (Napoli), ai sensi dell'art. 43 del d.P.R. n. 327 dell'8 giugno 2001 e succ. modificazioni ed integrazioni, disponeva l'acquisizione coattiva al patrimonio indisponibile comunale di beni immobili utilizzati per scopi di interesse pubblico «stadio comunale e vie di fuga», avente ad oggetto 1a porzione di terreno riportata in catasto alla p.lle 726/a e 229/a, n. partita 11324, fg. 4, per una superficie di mq. 1.400 di proprieta' del ricorrente; per la condanna dell'intimato comune, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla restituzione in favore del ricorrente del terreno, oggetto del suddetto decreto d'acquisizione coattiva, con ogni sua accessione e pertinenza, e, conseguentemente, al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. per l'illegittima occupazione di esso terreno, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, a far data dall'emanazione dell'impugnato provvedimento e fino al soddisfo, alla stregua della quantificazione prospettata, comprensiva anche del deprezzamento subito dalla residua porzione di terreno non acquisita e per l'accertamento dell'intervenuto acquisto, per accessione, in capo al ricorrente del diritto di proprieta' di ogni opera esistente sulla porzione di terreno oggetto dell'impugnato provvedimento e, segnatamente, della tribuna dello stadio comunale e delle strade di accesso ivi costruite, in via gradata, in caso di mancato accoglimento della domanda restitutoria; per l'annullamento dell'impugnato provvedimento ex art. 43 d.P.R. 8 giugno 2001, nella parte in cui quantifica il risarcimento del danno al ricorrente in euro 9.994,04 e per la condanna conseguente dell'intimato comune, in persona dl legale rappresentante pro tempore, all'integrale risarcimento dei danni, dovuto in conseguenza dell'emanazione di esso provvedimento espropriativo, quantificati in euro 771.200,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, a far data dall'inizio dell'occupazione illegittima e fino al soddisfo, o nella diversa somma, maggiore o minore, quale risultera' all'esito dell'istruttoria, anche ex art. 1226 c.c.; nonche', in ipotesi di richiesta a questo t.a.r. da parte del comune, ai sensi dell'art. 43, comma 3, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 - per il caso di fondatezza del ricorso, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo - all'integrale risarcimento dei danni dovuto in conseguenza dell'emanazione di esso provvedimento acquisitivo, quantificati in euro 771.200,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali a far data dall'inizio dell'occupazione illegittima e fino al soddisfo o nella diversa somma, maggiore o minore, quale risultera' all'esito dell'istruttoria, anche ex art. 1226 c.c. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'intimato comune; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Uditi - relatore alla Camera di consiglio del 9 ottobre 2008 il consigliere dott. Vincenzo Cernese - i difensori delle parti come da verbale di udienza; Ritenuto in fatto e considerato in diritto. F a t t o Espone in fatto l'odierno ricorrente di essere proprietario nel Comune di San Giuseppe Vesuviano (Napoli) di un fondo distinto in catasto alla partita 11324, fg. 4, p. Ile 229 e 726, per un totale di 1.400 mq e di aver ricevuto in data 26 ottobre 2001 dal responsabile del Servizio tecnico del predetto comune una comunicazione per la partecipazione al procedimento ai sensi della legge n. 241/1990, avvertendolo che si intendeva procedere alla redazione degli atti finalizzati all'adeguamento del campo sportivo situato in via Mattiuli, rendendolo edotto del fatto che « le opere ed interventi a farsi possono interessare gli immobili limitrofi», tra cui era ricompreso il fondo di sua proprieta'. Aggiunge che, risiedendo da 30 anni in Novara, in occasione di un sopralluogo del suo tecnico nel dicembre 2002, scopri' che il fondo in parola gia' era stato occupato, senza che, relativamente al medesimo, vi fosse stato alcun atto ablatorio o, attivazione di procedimento espropriativo, per la qual cosa deposito' ricorso per essere reintegrato nel possesso al Tribunale di Nola per la clandestina spoliazione subita. Aggiunge, ancora, che, dopo alterne vicende in punto di giurisdizione, le quali, con l'entrata in vigore dell'art. 7 della legge n. 205 del 2000, condussero allo spostamento del processo innanzi al giudice amministrativo, per, poi - a seguito della pronuncia della Consulta n. 204/2004 del 6 luglio 2004 - ritornare al Tribunale Civile di Nola, sez. II, quest'ultimo, in composizione collegiale, con ordinanza del 24 gennaio 2006, confermo' il provvedimento reso dal giudice monocratico ad esito della prima fase del giudizio possessorio e ritenne definitivamente la propria giurisdizione, radicandola per la natura usurpativa dell'occupazione e, accertando in parte motiva, oltre la natura usurpativa dell'occupazione, l'assenza di procedimento o atto ablatorio alcuno e la clandestinita' della spoliazione; nego', infine, che potesse dirsi intervenuto un acquisto della proprieta' in capo alla p.a., proprio per la natura usurpativa dell'intervenuta acquisizione. Rappresenta che il giorno fissato per l'esecuzione in sede civile dell'ordinanza di reintegra nel possesso, l'ufficiale giudiziario specificamente incaricato diede atto a verbale dell'impedimento legale alla prosecuzione dell'attivita' esecutiva costituito dall'emanazione, due giorni prima, del decreto in epigrafe con cui il responsabile del Servizio LL. PP ed urbanistica ed Ufficio espropriazioni del Comune di San Giuseppe Vesuviano, atteso atto che 1.400 mq. corrispondenti alla porzione di terreno riportata in catasto alle p.lle 726/a, n. partita 11324, fg. 4, di proprieta' di D'Ajello di Sant'Irene Armando erano stati oggetto di occupazione, cui era conseguita la realizzazione di un'opera, oltre il muro di confine, costituita da tribuna per gli spettatori e le strade comunali per l'accesso e l'esodo dalla struttura dello stadio comunale, in data 10 luglio 2006, adotto' il decreto n. prot. 2006 0020376 in epigrafe, con il quale dispose - art. 1 - l'acquisizione coattiva al patrimonio indisponibile comunale «dell'area su cui sono presenti gli immobili sopra descritti e precisamente parte dello stadio comunale (.....)»; prevedendo, altresi' - art. 2 - in favore del proprietario «oltre l'indennizzo, il risarcimento del danno nonche' il computo degli interessi moratori a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo». Il Comune di San Giuseppe Vesuviano si e' costituito in giudizio, preliminarmente eccependo il difetto di giurisdizione in relazione alla domanda - sia pure proposta subordinatamente al mancato accoglimento della richiesta di restituzione - di risarcimento integrale del danno; nel merito sostenendo l'infondatezza del ricorso, sia per l'inapplicabilita' del regime transitorio previsto dall'art. 57 del d.P.R. n. 327 al provvedimento acquisitivo ex art. 43 che si porrebbe all'esterno del procedimento espropriativo non portato a compimento, sia per l'esaustiva motivazione della prevalenza dell'interesse pubblico, in presenza della trasformazione irreversibile dell'area, con la realizzazione sul lotto in questione dello stadio comunale nonche' delle vie di fuga ad esso collegate. Alla pubblica udienza del 9 ottobre 2008 la causa e' stata chiamata e trattenuta per la decisione. D i r i t t o 1. - Con il ricorso in esame il ricorrente deduce la violazione degli artt. 43 e 57, comma l, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327; lamentando l'inapplicabilita' al caso di specie del procedimento ex art. 43 ed invocando l'applicazione del regime transitorio ex art. 57, comma 1, con obbligo di restituzione dell'immobile e risarcimento del danno ex art. 2043 cod. civ. per l'illegittima, ulteriore occupazione. 3. - E' noto che, in caso di annullamento giurisdizionale degli atti inerenti alla procedura di espropriazione di pubblica utilita' e occupazione di urgenza), ed a fortiori allorquando essi siano divenuti inefficaci, ovvero - come nella specie - non siano stati mai emanati e la procedura neppure iniziata il proprietario puo' chiedere la restituzione del bene piuttosto che il risarcimento del danno per equivalente monetario, anche se l'area e' stata irreversibilmente trasformata a seguito della realizzazione dell'opera pubblica. L'unico rimedio riconosciuto dall'ordinamento alla pubblica amministrazione per evitare la restituzione dell'area e' l'emanazione di un (legittimo) provvedimento di acquisizione c.d. «sanante» ex art. 43 del d.P.R. n. 327/2001, in assenza del quale l'Amministrazione non puo' addurre la intervenuta realizzazione dell'opera pubblica quale causa di impossibilita' oggettiva e quindi come impedimento alla restituzione (Cons. Stato, A.P., 29 aprile 2005, n. 2). 3.1. - Come si apprende dalle premesse all'impugnato provvedimento il Comune di San Giuseppe Vesuviano si e' determinato ad acquisire coattivamente al suo patrimonio indisponibile ai sensi dell'art. 43 del d.P.R. n. 327/2001 nella consapevolezza di utilizzare, in assenza di un valido provvedimento ablatorio, per scopi di interesse pubblico consistente in un appezzamento di terreno di circa 1400 mq. sito in quel comune - identificato in catasto al foglio 4, particelle 229/a e 726/a, n. partita 11324, fg. 4 - di proprieta' del ricorrente, sul quale era stato realizzato lo stadio comunale nonche' le strade di accesso all'impianto pubblico. Inoltre l'assenza di ogni potere di disposizione sul predetto bene da parte del comune conseguiva dalla - pure riferita - circostanza dell'esistenza di due ordinanze del Tribunale di Nola (depositate in data 31 giugno 2005 e 24 gennaio 2008) con le quali era stata ordinata l'immediata reintegra del legittimo proprietario nel possesso dell'immobile in parola, cui aveva fatto seguito la notifica, su iniziativa del proprietario clandestinamente spoliato, di un atto di precetto con cui si ordinava la restituzione in favore dell'istante, nel termine di 10 giorni, libera da persone e cose, della porzione di terreno occupata, come sopra catastalmente identificata. Il Comune di San Giuseppe Vesuviano, nel tentativo di «costruire» i vari tasselli della procedura in funzione sanante e da tale dichiarazione era poi derivata la comunicazione in data 26 ottobre 2001 al proprietario interessato, afferma che essa trova, a monte, la sua «copertura», nella dichiarazione di pubblica utilita' contenuta nella deliberazione del Consiglio comunale del 3 ottobre 1972, esecutiva ai sensi di legge, con cui era stato approvato il progetto per la realizzazione di uno stadio comunale con le relative strade per l'accesso allo stesso. 3.2.- Nel frattempo, tuttavia, a seguito dell'apertura del procedimento, in data 26 ottobre 2001, e' intervenuto il provvedimento di acquisizione sanante ai sensi dell'art. 43 sopra menzionato, sicche' la richiesta restituzione quale ripristino in forma reale non puo' piu' avere luogo. Infatti in applicazione la disposizione dell'art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, in caso di apprensione modifica di res sine titulo o con titolo annullato, si consente la possibilita' di neutralizzare la domanda di restituzione del bene proprio e solo con l'adozione di un atto formale preordinato all'acquisizione del bene medesimo (con corresponsione di quanto spettante a titolo risarcitorio), ovvero con la speciale domanda giudiziaria formulata nel giudizio in questione ai sensi dello stesso art. 43. 4. - La sezione osserva che, avuto riguardo all'impugnato decreto di acquisizione al patrimonio comunale ex art. 43 del d.P.R. n. 327/2001, nonche' alla richiesta del ricorrente di accertamento del diritto ad essere reintegrati nella piena titolarita' e nel possesso del fondo di proprieta' in San Giuseppe Vesuviano, come sopra riportato in catasto, non escluse le opere eseguite, operando il principio dell'accessione ex art. 934 cod. civ., nonche', in via subordinata, di condanna del comune al risarcimento dei danni, e' proprio l'assetto degli interessi quale definito con il citato decreto che diventa oggetto di verifica di legittimita'. 4.1. - Non si ritiene di poter in questa sede ignorare che la giurisprudenza della cassazione (es. SS.UU., 6 maggio 2003, n. 6853) ha individuato i caratteri nella cosiddetta occupazione appropriativa: a) nella trasformazione irreversibile del fondo, con destinazione ad opera pubblica o ad uso pubblico, che determina l'occupazione della proprieta' alla mano pubblica; b) nel fenomeno, in assenza di formale decreto di esproprio, che ha il carattere dell'illiceita', che si consuma alla scadenza del periodo di occupazione autorizzata (e quindi legittima), se nel frattempo l'opera pubblica e' stata realizzata, oppure al momento della trasformazione qualora l'ingerenza nella proprieta' privata abbia gia' carattere abusivo o se essa acquisti tale carattere perche' la trasformazione medesima avviene dopo la scadenza del periodo di occupazione legittima; c) nell'acquisto a favore della p.a. che si determina soltanto qualora l'opera sia funzionale ad una destinazione pubblicistica, e cio' avviene solo per effetto di una dichiarazione di pubblica utilita' formale o connessa ad un atto amministrativo che, per legge, produca tale effetto, con conseguente esclusione dall'ambito applicativo dell'istituto di comportamenti della p.a. non collegati ad alcuna utilita' pubblica formalmente dichiarata (cosiddetta occupazione usurpativa), o per mancanza ab inizio della dichiarazione di pubblica utilita' o perche' questa e' venuta meno in seguito ad annullamento dell'atto in cui essa era contenuta o per scadenza dei relativi termini (in tal caso non si produce l'effetto acquisitivo a favore della p.a. ed il proprietario puo' chiedere la restituzione del fondo occupato e, se a tanto non ha interesse e quindi vi rinunzi, puo' avanzare domanda di risarcimento del danno, che deve essere liquidato in maniera integrale); d) nella circostanza che il soggetto che ha subito l'ablazione di fatto, per ottenere il risarcimento del danno ha l'onere di proporre domanda in sede giudiziale entro il termine di prescrizione quinquennale (art. 2947 c.c.), la cui decorrenza e' ancorata alla data di scadenza dell'occupazione legittima se l'opera pubblica e' realizzata nel corso di tale occupazione, oppure al momento dell'irreversibile trasformazione del fondo se essa e' avvenuta dopo quella scadenza (o in assenza del decreto di occupazione d'urgenza, ma sempre nell'ambito di valida dichiarazione di pubblica utilita'). 4.2. - Tuttavia tale ricostruzione giurisprudenziale dell'occupazione appropriativa (e usurpativa) e' del tutto incompatibile con la disciplina normativa introdotta dal d.lgs. n. 327/2001 ed entrata in vigore il 30 giugno 2003. Quest'ultimo contiene, infatti, un capo VII, intitolato alle «Conseguenze. della utilizzazione di un bene per scopi di interesse pubblico». L'incompatibilita' fra le attuali previsioni di legge e la ricostruzione pretoria del fenomeno occupazione appropriativa e usurpativa e' evidente, solo se si considera che la disposizione sopra riportata subordina all'adozione di apposito provvedimento discrezionale il trasferimento di proprieta' dei beni immobili utilizzati per scopi di interesse pubblico, a seguito di modificazione avvenuta in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilita'. 4.3. - La legge esclude, dunque, che nel caso di accessione invertita un simile trasferimento avvenga «automaticamente», a seguito della irreversibile trasformazione del bene, come invece affermato dalla giurisprudenza. D'altra parte la Corte europea dei diritti dell'uomo, con due sentenze del 30 maggio 2000, ha ritenuto cio' in contrasto con l'art. 1, protocollo n. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, determinando l'esigenza, soddisfatta appunto con l'introduzione nel Testo Unico sulle espropriazioni dell'art. 43, «di adeguare l'ordinamento italiano alla convenzione» (Cons. Stato, Adunanza generale, parere 29 marzo 2001, n. 4, punto 13.3.). Ne' puo' sostenersi - come pure infondatamente dedotto da parte ricorrente nella I censura che, sul punto, rileva l'inapplicabilita', conformemente a quanto previsto dall'art. 57, delle disposizioni del T.U. ai «progetti per i quali, alla data di entrata in vigore dello stesso sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilita', indifferibilita' ed urgenza» - che l'art. 43 cit. disponga solo per le occupazioni successive all'entrata in vigore, dato che esso riveste natura di norma processuale e trova applicazione immediata (Cons. Stato, IV, 21 maggio 2007, n. 2582; A.P., 29 aprile 2005, n. 2; t.a.r. Emilia-Romagna, Bologna I, 27 ottobre 2003, n. 2160), trattandosi di disposizione riferita a tutti i casi di occupazione sine titulo, anche gia' sussistenti alla data di entrata in vigore del Testo Unico. 4.4. - La Consulta, da canto suo (senti nn. 188 del 1995 e 384 del 1990), ha affermato il principio che l'accessione invertita realizza un modo di acquisto della proprieta' giustificato da un bilanciamento fra interesse pubblico (correlato alla conservazione dell'opera in tesi pubblica) e l'interesse privato (relativo alla ripartizione del pregiudizio sofferto dal proprietario) la cui correttezza «costituzionale» sarebbe confortata «dal porsi come concreta manifestazione, in definitiva, della funzione sociale della proprieta»; la misura della liquidazione del danno non potrebbe prescindere dalla adeguatezza della tutela risarcitoria che, nel quadro della conformazione datane dalla giurisprudenza di legittimita', comportava la liquidazione del danno derivante dalla perdita del diritto di proprieta', mediante il pagamento di una somma pari al valore venale del bene con la rivalutazione per l'eventuale diminuzione del potere di acquisto della moneta fino al giorno della liquidazione. 4.5. - In punto di giurisdizione, il Collegio ritiene per il resto di non aver motivo per discostarsi dall'ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, nella materia dei procedimenti di espropriazione per pubblica utilita', sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si faccia questione - anche ai fini complementari della tutela risarcitoria - di attivita' di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilita' e con essa congruenti, anche se il procedimento all'interno del quale sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo e formale atto traslativo della proprieta' ovvero sia caratterizzato dalla presenza di atti poi dichiarati illegittimi (Cons. Stato, A.P. 30 luglio 2007, n. 9 e 22 ottobre 2007, n. 12; t.a.r. Lombardia, Milano II, 18 dicembre 2007, n. 6676; t.a.r. Lazio, Roma, II, 3 luglio 2007, n. 5985; t.a.r. Toscana, I, 14 settembre 2006, n. 3976; Cass. civ., ss. uu., 20 dicembre 2006, nn. 27190, 27191 e 27193). 5. - Venendo alla verifica di legittimita' dell'assetto degli interessi quale definito con il decreto del Responsabile del Servizio LL. PP ed urbanistica ed Ufficio espropriazioni di acquisizione delle aree in contestazione al patrimonio indisponibile del comune, quest'ultimo ritiene di potere giustificare un tale esito «Considerato che per lasciare il terreno libero da persone e cose si dovrebbe provvedere all'abbattimento dello stadio comunale e precisamente delle tribune, nonche' allo smantellamento delle strade comunali con tutte le relative opere di urbanizzazione. Valutati gli interessi in conflitto e che il terreno e' stato utilizzato per la realizzazione di un impianto sportivo comunale, nonche' di strade che ne permettano l'accesso e l'esodo». La giurisprudenza (da ultimo, Cons. giust. amm., 29 maggio 2008, n. 490), sembra ormai persuasa che l'art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001 persegue una finalita' di sanatoria di situazioni nelle quali l'autorita' dello Stato si sia espressa mediante una compressione del fondamentale diritto di proprieta' in assenza delle procedure legittime di esproprio. Non rileva dunque la causa della illegittimita' del comportamento, se cioe' eseguito in assenza di una dichiarazione di pubblica utilita' o a seguito dell'annullamento di essa o per altre cause, ma cio' che e' sostanziale e' che l'interesse pubblico non puo' essere soddisfatto in altro modo che con il mantenimento della situazione ablativa. 5.1. - In altri termini la rottura dell'equilibrio autorita-liberta' recata da detta norma e' sottoposta, per volonta' dello stesso Legislatore, a limiti formali ma soprattutto sostanziali che, secondo l'insegnamento dell'Adunanza plenaria n. 2 del 29 aprile 2005, si riducono ad un'approfondita e meditata motivazione sull'esercizio di tale potere extra ordinem, la' dove il Legislatore si esprime con la frase «valutati gli interessi in conflitto» dal tenore della quale scaturisce la necessita' di una valutazione comparativa tra l'interesse pubblico e quello privato. Al riguardo l'interesse privato non e' esattamente quello alla utilizzazione del bene per scopi personali, ma esclusivamente quello alla difesa dell'irrinunciabile diritto di proprieta'; la valutazione non puo' dunque essere compiuta tra l'utilita' effettiva che il privato ricava o intende ricavare dal bene e quella a favore della collettivita', ma tra la tutela del diritto costituzionale alla proprieta' privata ed il particolare beneficio che l'acquisizione reca all'interesse pubblico. La motivazione deve percio' porre in luce esattamente i motivi di interesse alla realizzazione dell'opera, indicando anche la non percorribilita' di soluzioni alternative, dando preciso conto della urgenza che ha imposto di obliterare le procedure corrette, ovvero delle contingenze che hanno interrotto, sospeso, annullato o comunque non hanno condotto a buon fine il giusto procedimento espropriativo; va inoltre evidenziata la assoluta necessita', e non una mera utilita', che l'immobile sia acquisito nello stato in cui si trova, dal momento che la mancata acquisizione costituirebbe uno spreco di risorse pubbliche. 5.2. - Tesi ormai consolidata e' nel senso che il citato art. 43 sia espressione del principio secondo cui, nel caso di occupazione divenuta sine titulo, vi e' un illecito il cui autore ha l'obbligo di «di far venir meno l'obbligo mediante la restituzione del suolo ed il risarcimento del pregiudizio cagionato», salvo il potere dell'Amministrazione di far venir meno l'obbligo di restituzione ab extra con l'atto di acquisizione del bene al proprio patrimonio quale previsto dai commi 1 e 3 dell'art. 43 e sempre che ricorrano le condizioni in tale norma specificate (Cons. Stato, IV, 27 giugno 2007, n. 3752). Insomma lo stesso art. 43 testualmente preclude che l'Amministrazione diventi proprietaria di un bene in mancanza di un titolo valido in quanto previsto dalla legge (Cons. Stato, IV, 21 maggio 2007, n. 2582), trascrivibile ed opponibile ai terzi, come del resto si deduce dal quarto comma, ove anche per l'ipotesi residuale di condanna dell'Amministrazione al risarcimento dei danni conseguente all'esclusione ad opera del giudice della restituibilita' del bene, e' espressamente affermata la necessita' che comunque l'Amministrazione stessa disponga il trasferimento della proprieta' attraverso «un apposito atto di acquisizione, dando atto dell'avvenuto risarcimento del danno». 6. - Nella fattispecie, ove si aderisse al citato orientamento giurisprudenziale, anche e soprattutto a fronte di una sentenza civile passata in giudicato che accerti la proprieta' dell'immobile in capo all'avente diritto ed il correlato carattere usurpativo dell'intervenuta occupazione, il ricorso avverso l'atto formale in via amministrativa sanante dovrebbe essere rigettato; il provvedimento oggetto di impugnazione sarebbe infatti conforme al modello astratto di cui al controverso art. 43 ed al suo dato testuale, stante l'operare incontrastato della sanatoria consentita da siffatta disposizione, in grado di legalizzare, senza apprezzabili limiti sostanziali, qualsivoglia illegalita'. Pur consapevole che tale e' ormai la posizione della giurisprudenza e pur prescindendo dalla circostanza che il ricorrente, nella denegata ipotesi di non condivisione dei motivi da lui dedotti in via principale a sostegno dell'obbligo di restituzione gravante sull'ente, in via subordinata si e' limitato a chiedere l'integrale risarcimento del danno subito, in tal modo dimostrando di rinunciare a proporre l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 43 del d.P.R. n. 327/2001, nell'evidente auspicio di un'interpretazione di siffatta norma in un senso che gli consenta il mantenimento della proprieta', il Tribunale ritiene pero' rilevante, non potendo il giudizio essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione, sollevare la questione di costituzionalita' dell'art. 43 per violazione degli artt. 3, 24, 42, 97, 113, 117 e 76 Cost. 6.1. - Quanto agli artt. 3, 24, 42, 97, 113, 117 e 76 Cost., e' innegabile che con il Testo Unico sull'espropriazione si e' provveduto ad un riordino della materia, sistemando complessivamente l'insieme normativo in tema di espropriazione per pubblica utilita', prendendosi in considerazione anche la disciplina del vincolo preordinato all'esproprio e chiarendo il rapporto intercorrente tra la pianificazione urbanistica ed il procedimento espropriativo in senso stretto. Si e' realizzata fra l'altro una incisiva semplificazione della procedura per giungere al decreto di espropriazione, che potra' essere emanato solo dopo la dichiarazione di pubblica utilita', tornandosi alla regola per cui l'Amministrazione realizza l'opera sull'area oramai sua con riduzione delle ipotesi di occupazione appropriativa o usurpativa e, di regola, unicamente dopo essere divenuta proprietaria dell'immobile. Nella prospettiva appena evidenziata non sara' fuor luogo accennare alle vicende che hanno caratterizzato l'istituto dell'occupazione d'urgenza, inizialmente esclusa dalle previsioni del d.P.R. n. 327/2001e poi reintrodotto con l'art. 23-bis. Infatti, se in un primo tempo si ritenne imprescindibile, al fine di dar corso alla trasformazione dell'immobile, l'acquisizione del possesso (jus possidendi) unicamente quale conseguenza dell'acquisto della proprieta' (non ritenendosi sufficiente, al predetto fine, l'acquisizione del mero jus possessionis, e cio', nel palese intento di evitare di creare le condizioni per invocare un'intervenuta «occupazione appropriativa»), in un secondo tempo, nell'intento di velocizzare la realizzazione delle opere pubbliche, e' stato reintrodotto nel testo del T.U. con il d.lgs. n. 302 del 2002 con la previsione normativa di cui all'art. 23-bis, esso conserva pur sempre carattere eccezionale, occorrendo, per la sua adozione, una specifica motivazione sulle qualificate ragioni di urgenza (c.d. doppia urgenza qualificata) atte a giustificare la deroga all'ordinario procedimento espropriativo. Cio' e' anche conseguenza del fatto che, a differenza di quanto avveniva nel sistema normativo, quale risultante dalle leggi n. 865 del 1971 e n. 1 del 1978, la dichiarazione di urgenza ed indifferibilita' (implicita nell'approvazione di progetti di opere pubbliche, ai sensi della legge n. 1/1978) che si aggiungeva a quella di pubblica utilita', quale presupposto per l'emanazione del decreto di occupazione, ha perso ogni rilevanza e non e' piu' disciplinata. Allo stato il T.U. disciplina l'istituto unitario della dichiarazione di pubblica utilita' ed, in base ad essa (che rileva ad un tempo la pubblica utilita' dell'opera e la consistente urgenza della sua realizzazione), puo' essere emesso il decreto di esproprio ovvero il decreto di occupazione d'urgenza, con la conseguenza che quando un atto dichiara (anche implicitamente) la pubblica utilita', per procedere all'occupazione non e' assolutamente richiesta la dichiarazione di indifferibilita' ed urgenza che e' evenienza autonoma, successiva e, per le anzidette ragioni, eccezionale. Tornando alla prevista sanatoria di cui all'art. 43, d.P.R. n. 327/2001, la stessa Adunanza generale del Consiglio di Stato, in sede di parere (29 marzo 2001) sul provvedimento legislativo in questione, ebbe a ritenere essenziale la riforma introdotta con l'art. 43, dovendo l'ordinamento adeguarsi ai principi costituzionali ed a quelli generali del diritto internazionale sulla tutela della proprieta', ritenendosi a tal fine funzionale l'attribuzione all'Amministrazione del potere di emanare una atto di acquisizione dell'area al suo patrimonio disponibile, con la peculiarita' che non viene meno il diritto al risarcimento del danno, in base ad una valutazione discrezionale sindacabile in sede giurisdizionale. Per la prima volta si e' normato il comportamento illegittimo delle amministrazioni intimate tenuto in sede espropriativa attraverso la formazione di un nuovo procedimento volto alla regolarizzazione delle procedure ablative illegittime: in passato infatti si era prevista unicamente l'ipotesi del rinnovo della dichiarazione di pubblica utilita' ove fossero trascorsi i termini (art. 13, comma 3, della legge n. 2359/1865), mentre di recente era stato introdotto (art. 3, comma 65, della legge n. 662/1996) il criterio temporaneo di determinazione legale dell'ammontare della somma da corrispondere a titolo risarcitorio. Soltanto con l'introduzione dell'art. 43 si e', pero', ovviato alle ablazioni dei beni privati avvenute in violazione delle regole del procedimento espropriativo ed osservato i principi affermati a Strasburgo secondo cui: «l'ingerenza di una pubblica utilita' nell'esercizio del diritto al rispetto dei beni deve essere legale» e «l'ingerenza delle autorita' nel diritto al rispetto dei beni deve essere legale» e «l'interferenza delle autorita' nel diritto al rispetto dei beni deve assicurare un equo bilanciamento tra le esigenze dell'interesse generale della collettivita' e quelle della salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo». 6.2. - Tuttavia, per le medesime ragioni sopra riferite per le quali l'istituto dell'occupazione d'urgenza e' stato prima abolito e poi, sia pure in via eccezionale, reintrodotto nel T.U. sulle espropriazioni (tuttavia previo rigoroso riscontro in punto di motivazione della c.d. doppia urgenza qualificata), la previsione normativa in questione di sanatoria procedimentale e processuale, con acquisizione postuma del bene illegittimamente occupato, nelle intenzioni del Legislatore doveva conservare una natura eccezionale, trattandosi di esercizio di una potesta' unilaterale a vantaggio esclusivo della p.a. che, per superare le anomalie delle occupazioni appropriative e/o usurpative, provvede ad una sanatoria che ha a presupposto: 1) l'impossessamento materiale del bene da parte della p.a.; 2) la sua modificazione ed utilizzazione attuale e pubblica; 3) la valutazione-contemperazione degli interessi in conflitto; 4) il risarcimento pieno del danno. Fermo il rispetto delle stesse garanzie di partecipazione di regola previste per la procedura ablatoria ordinaria, la natura eccezionale del potere acquisitivo in parola risiede peraltro nello stesso valore sanante dell'illegittimita' della procedura espropriativa, anche se solo ex nunc. 6.2.1. - In realta' si evidenzia che l'esercizio del potere autoritativo di acquisizione dell'area al proprio patrimonio indisponibile, attraverso l'adozione di un atto amministrativo che consente di evitare la restituzione del bene di sanare la commessa illegalita', ha assunto la natura di strumento ordinario, a mezzo del quale «si legalizza l'illegale», ossia si legittima l'acquisto dell'area privata ove sia gia' stata realizzata un'opera pubblica in assenza del valido decreto di espropriazione; mentre dunque le disposizioni dall'art. 1 all'art. 42 del Testo Unico hanno inteso dettare una procedura a garanzia degli interessi coinvolti con doveri, obblighi e limiti e che culmina con il decreto di espropriazione, che potra' essere emanato solo dopo la dichiarazione di pubblica utilita', l'art. 43 consente l'illecito aquiliano conseguente alla intervenuta occupazione senza titolo che poi viene meno al momento dell'atto di acquisizione, a mezzo del quale l'amministrazione diviene titolare di un immobile da essa utilizzato per fini di interesse pubblico e modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilita', cosi' capovolgendosi la garanzia costituzionale del diritto di proprieta' di cui all'art. 42 Cost., cio' tanto nella fattispecie dell'occupazione appropriativa quanto in quella dell'occupazione usurpativa, sia che la dichiarazione di pubblica utilita' non vi e' mai stata o e' nulla, sia che un tale provvedimento sia stato annullato. La norma appare dunque incostituzionale nella misura in cui si consente alla pubblica amministrazione, anche deliberatamente, attraverso l'utilizzazione dello strumento di cui al citato art. 43, di eludere gli obblighi procedimentali della instaurazione del contraddittorio, delle tre fasi progettuali e della verifica delle norme di conformita' urbanistica, le quali ultime peraltro sono poste non soltanto dall'Autorita' comunale, ma anche da quella regionale e da quelle preposte alla tutela di ulteriori e distinti vincoli. A parere del tribunale, che non puo' nascondere la propria indignazione in ragione della ricostruzione quale effettuata in punto di fatto e dell'abuso che si intende fare di uno strumento che, certo, non puo' divenire un modo istituzionale per sovvertire il diritto, si impone una lettura restrittiva della disposizione in questione, anche perche' nella pratica risulta difficile immaginare ipotesi in cui l'amministrazione non possa giustificare il proprio operato, in via diretta o in via indiretta, con la finalita' del raggiungimento di un pubblico scopo (nella fattispecie sottoposta all'attenzione di questo Tribunale si tratta della realizzazione di strutture, anche di sicurezza, asservite allo stadio comunale); tra l'altro la norma non sembra pretendere che il fine pubblico si ponga in rapporto immediato con il prodotto della modifica, laddove nell'occupazione appropriativi la dichiarazione di pubblica utilita' impone una connessione diretta tra lo scopo e bene trasformato. 6.2.2. - In verita' dubbi sulla legittimita' dell'istituto in parola sono stati manifestati sotto diversa prospettiva anche dalla Corte europea dei diritti dell'uomo che, con recenti decisioni (12 gennaio 2006; 8 dicembre 2005), ha evidenziato come la deroga alle regole fissate per l'espropriazione crei il rischio di un risultato arbitrario ed imprevedibile in violazione del principio di certezza del diritto, essendo in ogni caso necessario garantire il rispetto della legalita' sostanziale. Da parte sua le Comite' des ministres du Conseil de l'Europe in data 14 febbraio 2007 ha provveduto con una risoluzione ad impartire una serie di indicazioni relative all'interpretazione dell'art. 43 al fine di soddisfare le esigenze della Convenzione dei diritti dell'uomo. In altri termini non e' piu' possibile prescindere dai principi costituzionali e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, cui e' ispirato il Testo Unico n. 327/2001, in base ai quali il diritto di proprieta' puo' essere acquistato dall'Amministrazione solo con l'emanazione di un formale provvedimento amministrativo, di esproprio o di acquisizione a titolo di sostanziale sanatoria (Cons. Stato, IV, 10 aprile 2008, n. 1552; 30 novembre 2007, n. 6124; 16 novembre 2007, n. 5830; 27 giugno 2007, n. 3752; 21 maggio 2007, n. 2852). 6.3. - Per altro verso questo giudice Ritiene di sollevare la presente questione di legittimita' costituzionale avendo preso atto che, di fatto, la sentenza del giudice civile si sostanzia e si colloca quale sorta di atto presupposto del procedimento che si perfeziona con l'atto di acquisizione; si pone allo stato il problema di una grave lesione del principio generale dell'intangibilita' del giudicato civile, avente anch'esso natura costitutiva ed in sostanza vanificato da un atto amministrativo di acquisizione per utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico. E' appena il caso di evidenziare che tale atto interviene allorche' si e' gia' formato inter partes il giudicato - nella specie del giudice civile - sulla richiesta oggetto del ricorso, giudicato che fa stato fra le parti, i loro eredi ed aventi causa, nei limiti oggettivi costitutivi, ovvero il «titolo» o causa petendi della stessa azione e il «bene della vita» o petitum mediato che ne forma oggetto, come tale coprendo «il dedotto ed il deducibile», cioe' non solo le questioni di fatto e diritto fatte valere in via di azione e di eccezione e, comunque, esplicitamente investite della decisione, ma anche le questioni che, pur non dedotte in giudizio, costituiscano un presupposto logico ed indefettibile della decisione stessa. Il pericolo e' di eludere tanto l'efficacia sostanziale del giudicato civile o amministrativo, sancita dall'art. 2909 cod. civ., secondo il quale il giudicato fa stato solo fra le parti che hanno partecipato al giudizio, quanto i principi che disciplinano la valenza e gli effetti propri degli atti amministrativi in funzione della loro natura. L'applicazione dello strumento di cui al citato art. 43, come nella fattispecie, potrebbe essere reiterata all'infinito, rappresentando una comoda e sbrigativa alternativa, a mo' di scorciatoia, al piu' complesso (ma indubbiamente piu' garantista, sotto molteplici aspetti, per i soggetti destinatari dalle procedure ablative), al procedimento ordinario ed alla sua rinnovazione, a conferma di come uno strumento che era stato concepito come straordinario e' diventato strumento ordinario, con relativa vanificazione dei principi di certezza giuridica e di tutela delle posizioni giuridiche; il Collegio ha tentato, inutilmente, praticando il canone ermeneutico dell'interpretazione adeguatrice, di utilizzare tutti gli strumenti ermeneutica quali riconosciuti per trarre dalla citata disposizione censurata un significato costituzionalmente corretto. 7. - In relazione all'art. 117 Cost., il tribunale non puo' ignorare quanto di recente (Corte cost., 24 ottobre 2007, n. 349) dichiarato con riguardo all'art. 5-bis del d.l. n. 333 del 1992, convertito in legge n. 359 del 1992, il cui comma 7-bis, quale introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge n. 662 del 1996, e' stato dichiarato incostituzionale in quanto non prevederebbe un ristoro integrale del risarcimento del danno subito per effetto dell'occupazione acquisitiva da parte della pubblica amministrazione, corrispondente al valore di mercato del bene occupato, dunque in contrasto con gli obblighi internazionali sanciti dall'art. 1 del Protocollo addizionale alla C.E.D.U. e con l'art. 117, primo comma, cost. Quest'ultima disposizione condiziona l'esercizio della potesta' legislativa dello Stato e delle Regioni al rispetto degli obblighi internazionali, tra i quali indubbiamente rientrano quelli derivanti dalla C.E.D.U., rendendo inconfutabile la maggior forza di resistenza delle norme C.E.D.U. rispetto alle leggi ordinarie successive ed attraendole nella sfera di competenza della Consulta, dal momento che l'asserita incompatibilita' fra norma legislativa ordinaria e la norma C.E.D.U. si presenta come una questione di legittimita' costituzionale per eventuale violazione dell'art. 117, primo comma, cost. quale non puo' ritenersi operante solo nell'ambito dei rapporti fra lo Stato e le regioni. Nella fattispecie il contestato art. 43 non appare conforme ai principi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che hanno una diretta rilevanza nell'ordinamento interno (art. 117, primo comma, Cost., secondo cui le leggi devono rispettare i «vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario»") e lo stesso art. 56 (F) del Trattato di Maastricht (modificato dal Trattato di Amsterdam), in base al quale «L'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali in quanto principi generali del diritto comunitario». La costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (20 aprile 2006; 15 novembre 2005; 17 maggio 2005) ha sul punto piu' volte riaffermato il diretto contrasto con l'art. 1, prot. 1, della Convenzione della prassi interna sulla «espropriazione indiretta», secondo cui l'Amministrazione diventerebbe proprietaria del bene in assenza di un atto ablatorio; le norme della C.E.D.U. del resto integrano il parametro costituzionale ed e' necessario che siano conformi alla Costituzione, mentre lo scrutinio di costituzionalita' nei loro riguardi non puo' limitarsi alla possibile lesione dei principi e dei diritti fondamentali o dei principi supremi, ma si estende ad ogni profilo di contrasto tra le «norme interposte» e quelle costituzionali. 8. - Quanto all'art. 76 Cost., va Premesso che la legge n. 59/1997 ha disposto che la legge annuale di semplificazione prevede la delegificazione di procedimenti amministrativi ed il riordino normativo di vari settori dell'ordinamento; in particolare, a fronte di un «caos normativop, con redazione dei Testi Unici previsti dagli artt. 7 ed 8 della legge n. 50/1999 si e' effettuata una codificazione per settori delle disposizioni, anche di rango diverso, stratificatesi nel corso degli anni, raccogliendosi le norme di grado secondario, relative ai procedimenti gia' delegificati, e le disposizioni legislative rimaste estranee a tale fenomeno. In considerazione della contemporanea vigenza di norme eterogenee, concernenti ogni fase del procedimento espropriativo, si ritenne di non riportare nel Testo Unico tutte le norme in vigore, redigendosi percio' un articolato di carattere generale con l'abrogazione di tutte le precedenti normative, generali o di settore. Il risultato e' concepire il provvedimento di esproprio come l'atto terminale di un terzo procedimento, spesso di carattere dovuto in quanto l'amministrazione si e' immessa nel possesso del bene in base all'ordinanza di occupazione d'urgenza, collegato agli altri due precedenti procedimenti dell'imposizione del vincolo preordinato all'esproprio e della dichiarazione di pubblica utilita' che interviene con l'approvazione del progetto definitivo. 8.1. - Tuttavia l'art. 7, comma 3, lett. d) della legge n. 50/1999 ha unicamente previsto che il Governo desse luogo al mero «coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo». Ora, non pare che la norma della cui costituzionalita' si dubita trovi riferimento o principi e criteri direttivi in norme preesistenti, ne' puo' agevolmente sostenersi che la figura dell'acquisizione costituisca una modifica necessaria per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa; non era dunque consentito, eccedendo i limiti della delega, contemplare l'emanazione di un legittimo provvedimento di acquisizione sanante, pur con la considerazione che si tratta dell'unico rimedio riconosciuto dall'ordinamento alla pubblica amministrazione per evitare la restituzione dell'area in favore del privato. La norma si pone dunque radicalmente in contrasto con le finalita' che, attraverso i principi ed i criteri enunciati, la legge delega si e' prefissata.