IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 6574 del 2006
proposto da D'Ajello di Sant'Irene Armando,  rappresentato  e  difeso
dall'avv. Pasquale Lambiase e Maurizio Forestieri, presso  lo  studio
del primo elettivamente domiciliato in Napoli, alla via Cuma n. 28; 
    Contro il Comune di San Giuseppe Vesuviano (Napoli),  in  persona
del  legale  rappresentante  pro  tempore,  rappresentato  e   difeso
dall'avv. Maurizio Renzulli ed elettivamente  domiciliato  presso  lo
studio dell'avv. Valerio Barone in Napoli, alla piazza Sannazzaro  n.
71; il responsabile pro tempore del Servizio LL. PP. ed urbanistica e
dell'Ufficio espropri del  Comune  di  San  Giuseppe  Vesuviano;  non
costituito in giudizio: 
        per l'annullamento del decreto n. prot. 2006 0020376, emanato
il 10 luglio 2006 e notificato il giorno 17 successivo,  con  cui  il
responsabile  del   Servizio   LL.   PP.   urbanistica   ed   Ufficio
espropriazioni del Comune di  San  Giuseppe  Vesuviano  (Napoli),  ai
sensi dell'art. 43 del d.P.R. n.  327  dell'8  giugno  2001  e  succ.
modificazioni ed integrazioni, disponeva l'acquisizione  coattiva  al
patrimonio indisponibile comunale di  beni  immobili  utilizzati  per
scopi di interesse pubblico «stadio comunale e vie di  fuga»,  avente
ad oggetto 1a porzione di terreno riportata  in  catasto  alla  p.lle
726/a e 229/a, n. partita 11324, fg. 4, per  una  superficie  di  mq.
1.400 di proprieta' del ricorrente; 
        per la condanna dell'intimato comune, in persona  del  legale
rappresentante  pro  tempore,  alla  restituzione   in   favore   del
ricorrente del terreno, oggetto del suddetto  decreto  d'acquisizione
coattiva, con ogni sua accessione e pertinenza, e,  conseguentemente,
al risarcimento  del  danno  ex  art.  2043  c.c.  per  l'illegittima
occupazione  di  esso  terreno,  oltre  rivalutazione  monetaria   ed
interessi  legali,  a   far   data   dall'emanazione   dell'impugnato
provvedimento e fino al soddisfo, alla stregua della  quantificazione
prospettata, comprensiva anche del deprezzamento subito dalla residua
porzione   di   terreno   non   acquisita   e   per    l'accertamento
dell'intervenuto acquisto, per accessione, in capo al ricorrente  del
diritto di proprieta' di  ogni  opera  esistente  sulla  porzione  di
terreno oggetto dell'impugnato provvedimento e,  segnatamente,  della
tribuna  dello  stadio  comunale  e  delle  strade  di  accesso   ivi
costruite, in via gradata, in  caso  di  mancato  accoglimento  della
domanda restitutoria; 
        per l'annullamento dell'impugnato provvedimento  ex  art.  43
d.P.R. 8 giugno 2001, nella parte in cui quantifica  il  risarcimento
del  danno  al  ricorrente  in  euro  9.994,04  e  per  la   condanna
conseguente dell'intimato comune, in persona dl legale rappresentante
pro  tempore,  all'integrale  risarcimento  dei  danni,   dovuto   in
conseguenza  dell'emanazione  di  esso  provvedimento  espropriativo,
quantificati in euro 771.200,00,  oltre  rivalutazione  monetaria  ed
interessi legali, a far data dall'inizio dell'occupazione illegittima
e fino al soddisfo, o nella diversa somma, maggiore o  minore,  quale
risultera' all'esito  dell'istruttoria,  anche  ex  art.  1226  c.c.;
nonche', in ipotesi di richiesta a questo t.a.r. da parte del comune,
ai sensi dell'art. 43, comma 3, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 - per il
caso di fondatezza del ricorso, con esclusione della restituzione del
bene senza limiti di tempo -  all'integrale  risarcimento  dei  danni
dovuto  in  conseguenza   dell'emanazione   di   esso   provvedimento
acquisitivo, quantificati in  euro  771.200,00,  oltre  rivalutazione
monetaria ed interessi legali a far data dall'inizio dell'occupazione
illegittima e fino al soddisfo o  nella  diversa  somma,  maggiore  o
minore, quale risultera' all'esito dell'istruttoria,  anche  ex  art.
1226 c.c. 
    Visto il ricorso con i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'intimato comune; 
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese; 
    Visti gli atti tutti della causa; 
    Uditi - relatore alla Camera di consiglio del 9 ottobre  2008  il
consigliere dott. Vincenzo Cernese - i difensori delle parti come  da
verbale di udienza; 
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto. 
                              F a t t o 
    Espone in fatto l'odierno ricorrente di essere  proprietario  nel
Comune di San Giuseppe Vesuviano (Napoli) di  un  fondo  distinto  in
catasto alla partita 11324, fg. 4, p. Ile 229 e 726, per un totale di
1.400 mq e di aver ricevuto in data 26 ottobre 2001 dal  responsabile
del Servizio tecnico del predetto comune  una  comunicazione  per  la
partecipazione al procedimento ai  sensi  della  legge  n.  241/1990,
avvertendolo che si intendeva procedere  alla  redazione  degli  atti
finalizzati  all'adeguamento  del  campo  sportivo  situato  in   via
Mattiuli, rendendolo edotto del fatto che « le opere ed interventi  a
farsi possono  interessare  gli  immobili  limitrofi»,  tra  cui  era
ricompreso il fondo di sua proprieta'. 
    Aggiunge che, risiedendo da 30 anni in Novara, in occasione di un
sopralluogo del suo tecnico nel dicembre 2002, scopri' che  il  fondo
in parola gia'  era  stato  occupato,  senza  che,  relativamente  al
medesimo, vi fosse stato  alcun  atto  ablatorio  o,  attivazione  di
procedimento espropriativo, per la qual cosa  deposito'  ricorso  per
essere  reintegrato  nel  possesso  al  Tribunale  di  Nola  per   la
clandestina spoliazione subita. 
    Aggiunge,  ancora,  che,  dopo  alterne  vicende  in   punto   di
giurisdizione, le quali, con l'entrata in vigore  dell'art.  7  della
legge n. 205 del  2000,  condussero  allo  spostamento  del  processo
innanzi al  giudice  amministrativo,  per,  poi  -  a  seguito  della
pronuncia della Consulta n. 204/2004 del 6 luglio 2004 - ritornare al
Tribunale Civile di Nola,  sez.  II,  quest'ultimo,  in  composizione
collegiale,  con  ordinanza  del  24  gennaio  2006,   confermo'   il
provvedimento reso dal giudice monocratico ad esito della prima  fase
del  giudizio  possessorio  e  ritenne  definitivamente  la   propria
giurisdizione, radicandola per la natura usurpativa  dell'occupazione
e,  accertando  in  parte  motiva,   oltre   la   natura   usurpativa
dell'occupazione, l'assenza di procedimento o atto ablatorio alcuno e
la clandestinita' della spoliazione; nego', infine, che potesse dirsi
intervenuto un acquisto della proprieta' in capo alla  p.a.,  proprio
per la natura usurpativa dell'intervenuta acquisizione. 
    Rappresenta che il giorno fissato per l'esecuzione in sede civile
dell'ordinanza di reintegra  nel  possesso,  l'ufficiale  giudiziario
specificamente  incaricato  diede  atto  a  verbale  dell'impedimento
legale  alla   prosecuzione   dell'attivita'   esecutiva   costituito
dall'emanazione, due giorni prima, del decreto in epigrafe con cui il
responsabile  del  Servizio  LL.  PP  ed   urbanistica   ed   Ufficio
espropriazioni del Comune di San Giuseppe Vesuviano, atteso atto  che
1.400 mq.  corrispondenti  alla  porzione  di  terreno  riportata  in
catasto alle p.lle 726/a, n. partita 11324, fg. 4, di  proprieta'  di
D'Ajello di Sant'Irene Armando erano stati  oggetto  di  occupazione,
cui era conseguita la realizzazione di un'opera,  oltre  il  muro  di
confine, costituita  da  tribuna  per  gli  spettatori  e  le  strade
comunali  per  l'accesso  e  l'esodo  dalla  struttura  dello  stadio
comunale, in data 10 luglio 2006, adotto' il decreto  n.  prot.  2006
0020376 in epigrafe, con il quale dispose - art. 1  -  l'acquisizione
coattiva al patrimonio indisponibile comunale «dell'area su cui  sono
presenti gli immobili sopra  descritti  e  precisamente  parte  dello
stadio comunale (.....)»; prevedendo, altresi' - art. 2 -  in  favore
del proprietario  «oltre  l'indennizzo,  il  risarcimento  del  danno
nonche' il computo degli interessi moratori a decorrere dal giorno in
cui il terreno sia stato occupato senza titolo». 
    Il Comune di San Giuseppe Vesuviano si e' costituito in giudizio,
preliminarmente eccependo il difetto di  giurisdizione  in  relazione
alla  domanda  -  sia  pure  proposta  subordinatamente  al   mancato
accoglimento  della  richiesta  di  restituzione  -  di  risarcimento
integrale  del  danno;  nel  merito  sostenendo  l'infondatezza   del
ricorso, sia per l'inapplicabilita' del regime  transitorio  previsto
dall'art. 57 del d.P.R. n. 327 al provvedimento acquisitivo  ex  art.
43 che si porrebbe all'esterno  del  procedimento  espropriativo  non
portato  a  compimento,  sia  per   l'esaustiva   motivazione   della
prevalenza dell'interesse pubblico, in presenza della  trasformazione
irreversibile dell'area, con la realizzazione sul lotto in  questione
dello stadio comunale nonche' delle vie di fuga ad esso collegate. 
    Alla pubblica udienza del  9  ottobre  2008  la  causa  e'  stata
chiamata e trattenuta per la decisione. 
                            D i r i t t o 
    1. - Con il ricorso in esame il ricorrente deduce  la  violazione
degli artt. 43 e 57, comma l, del  d.P.R.  8  giugno  2001,  n.  327;
lamentando l'inapplicabilita' al caso di specie del  procedimento  ex
art. 43 ed invocando l'applicazione del regime  transitorio  ex  art.
57, comma 1, con obbligo di restituzione dell'immobile e risarcimento
del danno  ex  art.  2043  cod.  civ.  per  l'illegittima,  ulteriore
occupazione. 
    3. - E' noto che, in caso di annullamento  giurisdizionale  degli
atti inerenti alla procedura di espropriazione di pubblica utilita' e
occupazione  di  urgenza),  ed  a  fortiori  allorquando  essi  siano
divenuti inefficaci, ovvero - come nella specie - non siano stati mai
emanati e la procedura neppure iniziata il proprietario puo' chiedere
la restituzione del bene piuttosto che il risarcimento del danno  per
equivalente monetario, anche se  l'area  e'  stata  irreversibilmente
trasformata a seguito della realizzazione dell'opera pubblica. 
    L'unico  rimedio  riconosciuto  dall'ordinamento  alla   pubblica
amministrazione per evitare la restituzione dell'area e' l'emanazione
di un (legittimo) provvedimento di  acquisizione  c.d.  «sanante»  ex
art.  43   del   d.P.R.   n.   327/2001,   in   assenza   del   quale
l'Amministrazione  non  puo'  addurre  la  intervenuta  realizzazione
dell'opera pubblica quale causa di impossibilita' oggettiva e  quindi
come impedimento alla restituzione  (Cons.  Stato,  A.P.,  29  aprile
2005, n. 2). 
    3.1.  -   Come   si   apprende   dalle   premesse   all'impugnato
provvedimento il Comune di San Giuseppe Vesuviano si  e'  determinato
ad acquisire coattivamente al suo patrimonio indisponibile  ai  sensi
dell'art.  43  del  d.P.R.  n.  327/2001  nella   consapevolezza   di
utilizzare, in assenza di  un  valido  provvedimento  ablatorio,  per
scopi di interesse pubblico consistente in un appezzamento di terreno
di circa 1400 mq. sito in quel comune - identificato  in  catasto  al
foglio 4, particelle 229/a e 726/a, n. partita  11324,  fg.  4  -  di
proprieta' del ricorrente, sul quale era stato realizzato  lo  stadio
comunale nonche' le strade di accesso all'impianto pubblico.  Inoltre
l'assenza di ogni potere di disposizione sul predetto bene  da  parte
del  comune  conseguiva  dalla  -   pure   riferita   -   circostanza
dell'esistenza di due ordinanze del Tribunale di Nola (depositate  in
data 31 giugno 2005 e  24  gennaio  2008)  con  le  quali  era  stata
ordinata  l'immediata  reintegra  del  legittimo   proprietario   nel
possesso  dell'immobile  in  parola,  cui  aveva  fatto  seguito   la
notifica, su iniziativa del proprietario  clandestinamente  spoliato,
di un atto di precetto con cui si ordinava la restituzione in  favore
dell'istante, nel termine di 10 giorni, libera  da  persone  e  cose,
della  porzione  di  terreno  occupata,  come   sopra   catastalmente
identificata. 
    Il Comune di San Giuseppe Vesuviano, nel tentativo di «costruire»
i vari tasselli  della  procedura  in  funzione  sanante  e  da  tale
dichiarazione era poi derivata la comunicazione in  data  26  ottobre
2001 al proprietario interessato, afferma che essa trova, a monte, la
sua «copertura», nella dichiarazione di pubblica  utilita'  contenuta
nella deliberazione  del  Consiglio  comunale  del  3  ottobre  1972,
esecutiva ai sensi di legge, con cui era stato approvato il  progetto
per la realizzazione di uno stadio comunale con  le  relative  strade
per l'accesso allo stesso. 
    3.2.-  Nel  frattempo,  tuttavia,  a  seguito  dell'apertura  del
procedimento,  in  data  26   ottobre   2001,   e'   intervenuto   il
provvedimento di acquisizione sanante ai  sensi  dell'art.  43  sopra
menzionato, sicche' la richiesta  restituzione  quale  ripristino  in
forma reale non puo' piu' avere luogo.  Infatti  in  applicazione  la
disposizione dell'art. 43 del d.P.R. n. 327  del  2001,  in  caso  di
apprensione modifica di res sine titulo o con  titolo  annullato,  si
consente la possibilita' di neutralizzare la domanda di  restituzione
del bene proprio e solo con l'adozione di un atto formale preordinato
all'acquisizione del bene  medesimo  (con  corresponsione  di  quanto
spettante a titolo risarcitorio),  ovvero  con  la  speciale  domanda
giudiziaria formulata nel giudizio in questione ai sensi dello stesso
art. 43. 
    4. - La sezione osserva che, avuto riguardo all'impugnato decreto
di acquisizione al patrimonio comunale  ex  art.  43  del  d.P.R.  n.
327/2001, nonche' alla richiesta del ricorrente di  accertamento  del
diritto ad essere reintegrati nella piena titolarita' e nel  possesso
del fondo  di  proprieta'  in  San  Giuseppe  Vesuviano,  come  sopra
riportato in catasto, non escluse  le  opere  eseguite,  operando  il
principio dell'accessione ex art. 934  cod.  civ.,  nonche',  in  via
subordinata, di condanna del comune al  risarcimento  dei  danni,  e'
proprio l'assetto  degli  interessi  quale  definito  con  il  citato
decreto che diventa oggetto di verifica di legittimita'. 
    4.1. - Non si ritiene di poter in questa  sede  ignorare  che  la
giurisprudenza della cassazione (es. SS.UU., 6 maggio 2003, n.  6853)
ha   individuato   i   caratteri   nella    cosiddetta    occupazione
appropriativa: a) nella trasformazione irreversibile del  fondo,  con
destinazione ad opera pubblica  o  ad  uso  pubblico,  che  determina
l'occupazione della proprieta' alla mano pubblica; b)  nel  fenomeno,
in assenza di formale decreto  di  esproprio,  che  ha  il  carattere
dell'illiceita',  che  si  consuma  alla  scadenza  del  periodo   di
occupazione  autorizzata  (e  quindi  legittima),  se  nel  frattempo
l'opera  pubblica  e'  stata  realizzata,  oppure  al  momento  della
trasformazione qualora l'ingerenza  nella  proprieta'  privata  abbia
gia' carattere abusivo o se essa acquisti tale carattere  perche'  la
trasformazione medesima avviene  dopo  la  scadenza  del  periodo  di
occupazione legittima; c) nell'acquisto a favore della  p.a.  che  si
determina soltanto qualora l'opera sia funzionale ad una destinazione
pubblicistica, e cio' avviene solo per effetto di  una  dichiarazione
di pubblica utilita' formale o connessa  ad  un  atto  amministrativo
che, per legge, produca  tale  effetto,  con  conseguente  esclusione
dall'ambito applicativo dell'istituto di comportamenti della p.a. non
collegati  ad  alcuna  utilita'   pubblica   formalmente   dichiarata
(cosiddetta occupazione usurpativa), o per mancanza ab  inizio  della
dichiarazione di pubblica utilita' o perche' questa e' venuta meno in
seguito ad annullamento dell'atto in cui essa  era  contenuta  o  per
scadenza dei relativi termini (in tal caso non si  produce  l'effetto
acquisitivo a favore della p.a. ed il proprietario puo'  chiedere  la
restituzione del fondo occupato e, se a  tanto  non  ha  interesse  e
quindi vi rinunzi, puo' avanzare domanda di risarcimento  del  danno,
che deve essere liquidato in maniera integrale); d) nella circostanza
che il soggetto che ha subito l'ablazione di fatto, per  ottenere  il
risarcimento del  danno  ha  l'onere  di  proporre  domanda  in  sede
giudiziale entro il termine di prescrizione quinquennale  (art.  2947
c.c.),  la  cui  decorrenza  e'  ancorata  alla  data   di   scadenza
dell'occupazione legittima se  l'opera  pubblica  e'  realizzata  nel
corso di  tale  occupazione,  oppure  al  momento  dell'irreversibile
trasformazione del fondo se essa e' avvenuta dopo quella scadenza  (o
in  assenza  del  decreto  di  occupazione   d'urgenza,   ma   sempre
nell'ambito di valida dichiarazione di pubblica utilita'). 
    4.2.   -   Tuttavia    tale    ricostruzione    giurisprudenziale
dell'occupazione  appropriativa   (e   usurpativa)   e'   del   tutto
incompatibile con la disciplina normativa introdotta  dal  d.lgs.  n.
327/2001 ed  entrata  in  vigore  il  30  giugno  2003.  Quest'ultimo
contiene, infatti, un capo VII, intitolato alle  «Conseguenze.  della
utilizzazione di un bene per scopi di interesse pubblico». 
    L'incompatibilita' fra  le  attuali  previsioni  di  legge  e  la
ricostruzione  pretoria  del  fenomeno  occupazione  appropriativa  e
usurpativa e' evidente, solo se  si  considera  che  la  disposizione
sopra riportata  subordina  all'adozione  di  apposito  provvedimento
discrezionale  il  trasferimento  di  proprieta'  dei  beni  immobili
utilizzati  per  scopi  di   interesse   pubblico,   a   seguito   di
modificazione  avvenuta   in   assenza   del   valido   ed   efficace
provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilita'. 
    4.3. - La legge esclude,  dunque,  che  nel  caso  di  accessione
invertita  un  simile  trasferimento  avvenga  «automaticamente»,   a
seguito della irreversibile  trasformazione  del  bene,  come  invece
affermato dalla giurisprudenza. D'altra parte la  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, con due sentenze del 30 maggio 2000,  ha  ritenuto
cio' in contrasto con l'art. 1, protocollo n.  1,  della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo, determinando  l'esigenza,  soddisfatta
appunto con  l'introduzione  nel  Testo  Unico  sulle  espropriazioni
dell'art. 43, «di adeguare l'ordinamento italiano  alla  convenzione»
(Cons. Stato, Adunanza generale, parere 29 marzo 2001,  n.  4,  punto
13.3.). 
    Ne' puo' sostenersi - come pure infondatamente dedotto  da  parte
ricorrente nella I censura che, sul punto, rileva l'inapplicabilita',
conformemente a quanto previsto dall'art. 57, delle disposizioni  del
T.U. ai «progetti per i quali, alla data di entrata in  vigore  dello
stesso  sia  intervenuta  la  dichiarazione  di  pubblica   utilita',
indifferibilita' ed urgenza» - che l'art. 43 cit. disponga  solo  per
le occupazioni  successive  all'entrata  in  vigore,  dato  che  esso
riveste natura di norma processuale e  trova  applicazione  immediata
(Cons. Stato, IV, 21 maggio 2007, n. 2582; A.P., 29 aprile  2005,  n.
2; t.a.r. Emilia-Romagna, Bologna  I,  27  ottobre  2003,  n.  2160),
trattandosi di disposizione riferita a tutti i  casi  di  occupazione
sine titulo, anche gia' sussistenti alla data di  entrata  in  vigore
del Testo Unico. 
    4.4. - La Consulta, da canto suo (senti nn. 188 del  1995  e  384
del 1990), ha  affermato  il  principio  che  l'accessione  invertita
realizza un modo di acquisto  della  proprieta'  giustificato  da  un
bilanciamento fra interesse pubblico  (correlato  alla  conservazione
dell'opera in tesi pubblica) e  l'interesse  privato  (relativo  alla
ripartizione  del  pregiudizio  sofferto  dal  proprietario)  la  cui
correttezza  «costituzionale»  sarebbe  confortata  «dal  porsi  come
concreta manifestazione, in definitiva, della funzione sociale  della
proprieta»; la misura  della  liquidazione  del  danno  non  potrebbe
prescindere dalla adeguatezza  della  tutela  risarcitoria  che,  nel
quadro   della   conformazione   datane   dalla   giurisprudenza   di
legittimita', comportava la liquidazione del  danno  derivante  dalla
perdita del diritto di proprieta', mediante il pagamento di una somma
pari al valore venale del bene con la rivalutazione  per  l'eventuale
diminuzione del potere di acquisto della moneta fino al giorno  della
liquidazione. 
    4.5. - In punto di giurisdizione,  il  Collegio  ritiene  per  il
resto di non  aver  motivo  per  discostarsi  dall'ormai  consolidato
indirizzo giurisprudenziale  secondo  il  quale,  nella  materia  dei
procedimenti di espropriazione per pubblica utilita',  sono  devolute
alla giurisdizione amministrativa  esclusiva  le  controversie  nelle
quali si faccia questione - anche ai fini complementari della  tutela
risarcitoria - di attivita' di occupazione  e  trasformazione  di  un
bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilita' e con essa
congruenti, anche se il procedimento all'interno del quale sono state
espletate non sia sfociato in un tempestivo e formale atto traslativo
della proprieta' ovvero sia caratterizzato dalla presenza di atti poi
dichiarati illegittimi (Cons. Stato, A.P. 30 luglio 2007, n. 9  e  22
ottobre 2007, n. 12; t.a.r. Lombardia, Milano II, 18  dicembre  2007,
n. 6676; t.a.r. Lazio, Roma, II,  3  luglio  2007,  n.  5985;  t.a.r.
Toscana, I, 14 settembre 2006, n.  3976;  Cass.  civ.,  ss.  uu.,  20
dicembre 2006, nn. 27190, 27191 e 27193). 
    5. - Venendo alla verifica  di  legittimita'  dell'assetto  degli
interessi quale definito con il decreto del Responsabile del Servizio
LL. PP ed urbanistica ed Ufficio espropriazioni di acquisizione delle
aree  in  contestazione  al  patrimonio  indisponibile  del   comune,
quest'ultimo  ritiene  di   potere   giustificare   un   tale   esito
«Considerato che per lasciare il terreno libero da persone e cose  si
dovrebbe  provvedere  all'abbattimento  dello   stadio   comunale   e
precisamente delle tribune, nonche' allo smantellamento delle  strade
comunali con tutte le relative opere di urbanizzazione. 
    Valutati gli interessi in conflitto e che  il  terreno  e'  stato
utilizzato per la realizzazione di  un  impianto  sportivo  comunale,
nonche' di strade che ne permettano l'accesso e l'esodo». 
    La giurisprudenza (da ultimo, Cons. giust. amm., 29 maggio  2008,
n. 490), sembra ormai persuasa che l'art. 43 del d.P.R.  n.  327  del
2001 persegue una finalita' di sanatoria di  situazioni  nelle  quali
l'autorita' dello Stato si sia espressa mediante una compressione del
fondamentale  diritto  di  proprieta'  in  assenza  delle   procedure
legittime  di  esproprio.  Non   rileva   dunque   la   causa   della
illegittimita' del comportamento, se cioe' eseguito in assenza di una
dichiarazione di pubblica utilita' o a seguito  dell'annullamento  di
essa o per altre cause, ma cio' che e' sostanziale e' che l'interesse
pubblico non puo'  essere  soddisfatto  in  altro  modo  che  con  il
mantenimento della situazione ablativa. 
    5.1.   -   In   altri   termini   la   rottura    dell'equilibrio
autorita-liberta' recata da detta norma e' sottoposta,  per  volonta'
dello stesso Legislatore, a limiti formali ma soprattutto sostanziali
che, secondo l'insegnamento dell'Adunanza plenaria n. 2 del 29 aprile
2005,  si  riducono  ad  un'approfondita   e   meditata   motivazione
sull'esercizio di tale potere extra ordinem, la' dove il  Legislatore
si esprime con la frase «valutati gli  interessi  in  conflitto»  dal
tenore della  quale  scaturisce  la  necessita'  di  una  valutazione
comparativa tra l'interesse pubblico e quello  privato.  Al  riguardo
l'interesse privato non e' esattamente quello alla utilizzazione  del
bene per  scopi  personali,  ma  esclusivamente  quello  alla  difesa
dell'irrinunciabile diritto di proprieta'; la  valutazione  non  puo'
dunque essere compiuta tra l'utilita' effettiva che il privato ricava
o intende ricavare dal bene e quella a favore della collettivita', ma
tra la tutela del diritto costituzionale alla proprieta'  privata  ed
il  particolare  beneficio  che  l'acquisizione  reca   all'interesse
pubblico. 
    La motivazione deve percio' porre in luce esattamente i motivi di
interesse alla  realizzazione  dell'opera,  indicando  anche  la  non
percorribilita' di soluzioni alternative, dando preciso  conto  della
urgenza che ha imposto di obliterare le  procedure  corrette,  ovvero
delle contingenze che hanno interrotto, sospeso, annullato o comunque
non hanno condotto a buon fine il giusto procedimento  espropriativo;
va inoltre  evidenziata  la  assoluta  necessita',  e  non  una  mera
utilita', che l'immobile sia acquisito nello stato in cui  si  trova,
dal momento che la mancata acquisizione costituirebbe uno  spreco  di
risorse pubbliche. 
    5.2. - Tesi ormai consolidata e' nel senso che il citato art.  43
sia espressione del principio secondo cui, nel  caso  di  occupazione
divenuta sine titulo, vi e' un illecito il cui autore ha l'obbligo di
«di far venir meno l'obbligo mediante la restituzione del suolo ed il
risarcimento   del   pregiudizio   cagionato»,   salvo   il    potere
dell'Amministrazione di far venir meno l'obbligo di  restituzione  ab
extra con l'atto di acquisizione del bene al proprio patrimonio quale
previsto dai commi 1 e 3 dell'art.  43  e  sempre  che  ricorrano  le
condizioni in tale norma specificate  (Cons.  Stato,  IV,  27  giugno
2007, n. 3752). Insomma lo stesso art. 43 testualmente  preclude  che
l'Amministrazione diventi proprietaria di un bene in mancanza  di  un
titolo valido in quanto previsto dalla legge  (Cons.  Stato,  IV,  21
maggio 2007, n. 2582), trascrivibile ed opponibile ai terzi, come del
resto si deduce dal quarto comma, ove anche per  l'ipotesi  residuale
di  condanna   dell'Amministrazione   al   risarcimento   dei   danni
conseguente all'esclusione ad opera del giudice della restituibilita'
del bene, e'  espressamente  affermata  la  necessita'  che  comunque
l'Amministrazione stessa disponga il trasferimento  della  proprieta'
attraverso  «un   apposito   atto   di   acquisizione,   dando   atto
dell'avvenuto risarcimento del danno». 
    6. - Nella fattispecie, ove si aderisse  al  citato  orientamento
giurisprudenziale, anche e  soprattutto  a  fronte  di  una  sentenza
civile passata in giudicato che accerti la  proprieta'  dell'immobile
in capo all'avente  diritto  ed  il  correlato  carattere  usurpativo
dell'intervenuta occupazione, il ricorso avverso  l'atto  formale  in
via   amministrativa   sanante   dovrebbe   essere   rigettato;    il
provvedimento oggetto di impugnazione  sarebbe  infatti  conforme  al
modello astratto di cui  al  controverso  art.  43  ed  al  suo  dato
testuale, stante l'operare incontrastato della  sanatoria  consentita
da siffatta disposizione, in grado di legalizzare, senza apprezzabili
limiti sostanziali, qualsivoglia illegalita'. 
    Pur  consapevole  che  tale   e'   ormai   la   posizione   della
giurisprudenza  e  pur  prescindendo   dalla   circostanza   che   il
ricorrente, nella denegata ipotesi di non condivisione dei motivi  da
lui dedotti in via principale a sostegno dell'obbligo di restituzione
gravante sull'ente, in via subordinata  si  e'  limitato  a  chiedere
l'integrale risarcimento del danno subito, in tal modo dimostrando di
rinunciare a proporre l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 43
del d.P.R. n. 327/2001, nell'evidente auspicio di  un'interpretazione
di siffatta norma in un senso che gli consenta il mantenimento  della
proprieta', il Tribunale ritiene  pero'  rilevante,  non  potendo  il
giudizio essere definito indipendentemente  dalla  risoluzione  della
questione, sollevare la questione di costituzionalita'  dell'art.  43
per violazione degli artt. 3, 24, 42, 97, 113, 117 e 76 Cost. 
    6.1. - Quanto agli artt. 3, 24, 42, 97, 113, 117 e 76  Cost.,  e'
innegabile  che  con  il  Testo  Unico  sull'espropriazione   si   e'
provveduto ad un riordino della materia, sistemando  complessivamente
l'insieme normativo in tema di espropriazione per pubblica  utilita',
prendendosi  in  considerazione  anche  la  disciplina  del   vincolo
preordinato all'esproprio e chiarendo il rapporto  intercorrente  tra
la pianificazione urbanistica ed  il  procedimento  espropriativo  in
senso  stretto.  Si  e'   realizzata   fra   l'altro   una   incisiva
semplificazione  della  procedura  per   giungere   al   decreto   di
espropriazione, che potra' essere emanato solo dopo la  dichiarazione
di   pubblica   utilita',   tornandosi   alla    regola    per    cui
l'Amministrazione realizza l'opera sull'area oramai sua con riduzione
delle ipotesi di occupazione appropriativa o usurpativa e, di regola,
unicamente dopo essere  divenuta  proprietaria  dell'immobile.  Nella
prospettiva appena evidenziata non sara' fuor  luogo  accennare  alle
vicende  che   hanno   caratterizzato   l'istituto   dell'occupazione
d'urgenza,  inizialmente  esclusa  dalle  previsioni  del  d.P.R.  n.
327/2001e poi reintrodotto con l'art. 23-bis. Infatti, se in un primo
tempo  si  ritenne  imprescindibile,  al  fine  di  dar  corso   alla
trasformazione  dell'immobile,  l'acquisizione  del   possesso   (jus
possidendi)  unicamente   quale   conseguenza   dell'acquisto   della
proprieta'  (non   ritenendosi   sufficiente,   al   predetto   fine,
l'acquisizione del mero jus possessionis, e cio', nel palese  intento
di evitare  di  creare  le  condizioni  per  invocare  un'intervenuta
«occupazione appropriativa»), in un secondo  tempo,  nell'intento  di
velocizzare  la  realizzazione  delle  opere  pubbliche,   e'   stato
reintrodotto nel testo del T.U. con il d.lgs. n. 302 del 2002 con  la
previsione normativa di cui all'art. 23-bis, esso conserva pur sempre
carattere eccezionale, occorrendo, per la sua adozione, una specifica
motivazione sulle qualificate ragioni di urgenza (c.d. doppia urgenza
qualificata) atte a giustificare la deroga all'ordinario procedimento
espropriativo. Cio' e' anche conseguenza del fatto che, a  differenza
di quanto avveniva nel  sistema  normativo,  quale  risultante  dalle
leggi n. 865 del 1971 e n. 1 del 1978, la dichiarazione di urgenza ed
indifferibilita' (implicita nell'approvazione di  progetti  di  opere
pubbliche, ai sensi della legge n. 1/1978) che si aggiungeva a quella
di pubblica utilita', quale presupposto per l'emanazione del  decreto
di occupazione, ha perso ogni rilevanza e non e' piu' disciplinata. 
    Allo  stato  il  T.U.  disciplina   l'istituto   unitario   della
dichiarazione di pubblica utilita' ed, in base ad essa (che rileva ad
un tempo la pubblica utilita' dell'opera  e  la  consistente  urgenza
della sua realizzazione), puo' essere emesso il decreto di  esproprio
ovvero il decreto di occupazione d'urgenza, con  la  conseguenza  che
quando un atto dichiara (anche implicitamente) la pubblica  utilita',
per procedere  all'occupazione  non  e'  assolutamente  richiesta  la
dichiarazione  di  indifferibilita'  ed  urgenza  che  e'   evenienza
autonoma, successiva e, per le anzidette ragioni, eccezionale. 
    Tornando alla prevista sanatoria di cui all'art.  43,  d.P.R.  n.
327/2001, la stessa Adunanza generale del Consiglio di Stato, in sede
di parere (29 marzo 2001) sul provvedimento legislativo in questione,
ebbe a ritenere essenziale  la  riforma  introdotta  con  l'art.  43,
dovendo l'ordinamento  adeguarsi  ai  principi  costituzionali  ed  a
quelli  generali  del  diritto  internazionale  sulla  tutela   della
proprieta',  ritenendosi  a  tal   fine   funzionale   l'attribuzione
all'Amministrazione del potere di emanare una  atto  di  acquisizione
dell'area al suo patrimonio disponibile, con la peculiarita' che  non
viene meno il diritto al risarcimento  del  danno,  in  base  ad  una
valutazione discrezionale sindacabile in sede giurisdizionale. Per la
prima  volta  si  e'  normato  il  comportamento  illegittimo   delle
amministrazioni intimate tenuto in sede espropriativa  attraverso  la
formazione di un nuovo procedimento volto alla regolarizzazione delle
procedure ablative illegittime: in passato infatti  si  era  prevista
unicamente l'ipotesi del  rinnovo  della  dichiarazione  di  pubblica
utilita' ove fossero trascorsi i termini (art.  13,  comma  3,  della
legge n. 2359/1865), mentre di recente era stato introdotto (art.  3,
comma  65,  della  legge  n.  662/1996)  il  criterio  temporaneo  di
determinazione legale dell'ammontare della somma da  corrispondere  a
titolo risarcitorio. Soltanto con l'introduzione dell'art. 43 si  e',
pero', ovviato alle ablazioni dei beni privati avvenute in violazione
delle regole del procedimento espropriativo ed osservato  i  principi
affermati a Strasburgo secondo  cui:  «l'ingerenza  di  una  pubblica
utilita' nell'esercizio del diritto al rispetto dei beni deve  essere
legale» e «l'ingerenza delle autorita' nel diritto  al  rispetto  dei
beni deve  essere  legale»  e  «l'interferenza  delle  autorita'  nel
diritto al rispetto dei beni deve assicurare  un  equo  bilanciamento
tra le esigenze dell'interesse generale della collettivita' e  quelle
della salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo». 
    6.2. - Tuttavia, per le medesime ragioni sopra  riferite  per  le
quali l'istituto dell'occupazione d'urgenza e' stato prima abolito  e
poi, sia  pure  in  via  eccezionale,  reintrodotto  nel  T.U.  sulle
espropriazioni  (tuttavia  previo  rigoroso  riscontro  in  punto  di
motivazione della c.d. doppia  urgenza  qualificata),  la  previsione
normativa in questione di sanatoria procedimentale e processuale, con
acquisizione  postuma  del  bene  illegittimamente  occupato,   nelle
intenzioni del Legislatore doveva conservare una natura  eccezionale,
trattandosi di esercizio di  una  potesta'  unilaterale  a  vantaggio
esclusivo della p.a. che, per superare le anomalie delle  occupazioni
appropriative e/o usurpative, provvede ad  una  sanatoria  che  ha  a
presupposto: 1) l'impossessamento materiale del bene da  parte  della
p.a.; 2) la sua modificazione ed utilizzazione attuale e pubblica; 3)
la valutazione-contemperazione degli interessi in  conflitto;  4)  il
risarcimento pieno del danno. Fermo il rispetto delle stesse garanzie
di partecipazione di  regola  previste  per  la  procedura  ablatoria
ordinaria, la natura eccezionale del  potere  acquisitivo  in  parola
risiede peraltro  nello  stesso  valore  sanante  dell'illegittimita'
della procedura espropriativa, anche se solo ex nunc. 
    6.2.1. - In realta'  si  evidenzia  che  l'esercizio  del  potere
autoritativo  di  acquisizione  dell'area   al   proprio   patrimonio
indisponibile, attraverso l'adozione di un  atto  amministrativo  che
consente di evitare la restituzione del bene di  sanare  la  commessa
illegalita', ha assunto la natura di strumento ordinario, a mezzo del
quale  «si  legalizza  l'illegale»,  ossia  si  legittima  l'acquisto
dell'area privata ove sia gia' stata realizzata un'opera pubblica  in
assenza del  valido  decreto  di  espropriazione;  mentre  dunque  le
disposizioni dall'art. 1 all'art. 42 del  Testo  Unico  hanno  inteso
dettare una  procedura  a  garanzia  degli  interessi  coinvolti  con
doveri,  obblighi  e  limiti  e  che  culmina  con  il   decreto   di
espropriazione, che potra' essere emanato solo dopo la  dichiarazione
di  pubblica  utilita',  l'art.  43  consente  l'illecito   aquiliano
conseguente alla intervenuta occupazione senza titolo che  poi  viene
meno  al  momento  dell'atto  di  acquisizione,  a  mezzo  del  quale
l'amministrazione diviene titolare di un immobile da essa  utilizzato
per fini di interesse pubblico e modificato in assenza di  un  valido
ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della  pubblica
utilita', cosi' capovolgendosi la garanzia costituzionale del diritto
di proprieta' di cui all'art. 42 Cost., cio' tanto nella  fattispecie
dell'occupazione  appropriativa  quanto  in  quella  dell'occupazione
usurpativa, sia che la dichiarazione di pubblica utilita' non  vi  e'
mai stata o e'  nulla,  sia  che  un  tale  provvedimento  sia  stato
annullato. 
    La norma appare dunque incostituzionale nella misura  in  cui  si
consente  alla  pubblica  amministrazione,   anche   deliberatamente,
attraverso l'utilizzazione dello strumento di cui al citato art.  43,
di  eludere  gli  obblighi  procedimentali  della  instaurazione  del
contraddittorio, delle tre fasi progettuali e  della  verifica  delle
norme di conformita' urbanistica, le quali ultime peraltro sono poste
non soltanto dall'Autorita' comunale, ma anche da quella regionale  e
da quelle preposte alla tutela di ulteriori e distinti vincoli. 
    A parere del  tribunale,  che  non  puo'  nascondere  la  propria
indignazione in ragione della ricostruzione quale effettuata in punto
di fatto e dell'abuso che si  intende  fare  di  uno  strumento  che,
certo, non puo' divenire un  modo  istituzionale  per  sovvertire  il
diritto, si impone una  lettura  restrittiva  della  disposizione  in
questione, anche perche' nella pratica risulta  difficile  immaginare
ipotesi in cui l'amministrazione non possa  giustificare  il  proprio
operato, in via diretta o in via  indiretta,  con  la  finalita'  del
raggiungimento di un pubblico  scopo  (nella  fattispecie  sottoposta
all'attenzione di questo Tribunale si tratta della  realizzazione  di
strutture, anche di sicurezza, asservite allo stadio  comunale);  tra
l'altro la norma non sembra pretendere che il fine pubblico si  ponga
in  rapporto  immediato  con  il  prodotto  della  modifica,  laddove
nell'occupazione appropriativi la dichiarazione di pubblica  utilita'
impone una connessione diretta tra lo scopo e bene trasformato. 
    6.2.2. - In verita' dubbi  sulla  legittimita'  dell'istituto  in
parola sono stati manifestati sotto diversa prospettiva  anche  dalla
Corte europea dei diritti dell'uomo che, con  recenti  decisioni  (12
gennaio 2006; 8 dicembre 2005), ha evidenziato come  la  deroga  alle
regole fissate per l'espropriazione crei il rischio di  un  risultato
arbitrario ed imprevedibile in violazione del principio  di  certezza
del diritto, essendo in ogni caso necessario  garantire  il  rispetto
della legalita' sostanziale. Da parte sua le Comite' des ministres du
Conseil de l'Europe in data 14 febbraio 2007 ha  provveduto  con  una
risoluzione  ad  impartire  una   serie   di   indicazioni   relative
all'interpretazione dell'art. 43 al fine di  soddisfare  le  esigenze
della Convenzione dei diritti dell'uomo. 
    In altri termini non e' piu' possibile prescindere  dai  principi
costituzionali e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, cui
e' ispirato il Testo Unico n. 327/2001, in base ai quali  il  diritto
di proprieta' puo' essere acquistato  dall'Amministrazione  solo  con
l'emanazione di un formale provvedimento amministrativo, di esproprio
o di acquisizione a titolo di sostanziale sanatoria (Cons. Stato, IV,
10 aprile 2008, n. 1552; 30 novembre 2007, n. 6124; 16 novembre 2007,
n. 5830; 27 giugno 2007, n. 3752; 21 maggio 2007, n. 2852). 
    6.3. - Per altro verso questo giudice  Ritiene  di  sollevare  la
presente questione di legittimita' costituzionale avendo  preso  atto
che, di fatto, la sentenza del  giudice  civile  si  sostanzia  e  si
colloca quale sorta di  atto  presupposto  del  procedimento  che  si
perfeziona con l'atto di acquisizione; si pone allo stato il problema
di una grave lesione del principio generale  dell'intangibilita'  del
giudicato civile, avente anch'esso natura costitutiva ed in  sostanza
vanificato  da   un   atto   amministrativo   di   acquisizione   per
utilizzazione  senza  titolo  di  un  bene  per  scopi  di  interesse
pubblico. 
    E' appena  il  caso  di  evidenziare  che  tale  atto  interviene
allorche' si e' gia' formato inter partes il giudicato - nella specie
del giudice civile - sulla richiesta oggetto del  ricorso,  giudicato
che fa stato fra le parti, i loro eredi ed aventi causa,  nei  limiti
oggettivi costitutivi, ovvero  il  «titolo»  o  causa  petendi  della
stessa azione e il «bene della vita» o petitum mediato che  ne  forma
oggetto, come tale coprendo «il dedotto ed il deducibile», cioe'  non
solo le questioni di fatto e diritto fatte valere in via di azione  e
di eccezione e, comunque, esplicitamente investite  della  decisione,
ma anche le questioni che, pur non dedotte in giudizio, costituiscano
un presupposto logico ed indefettibile  della  decisione  stessa.  Il
pericolo e' di eludere tanto l'efficacia  sostanziale  del  giudicato
civile o amministrativo, sancita dall'art. 2909 cod. civ., secondo il
quale il giudicato fa stato solo fra le parti che  hanno  partecipato
al giudizio, quanto i principi che  disciplinano  la  valenza  e  gli
effetti propri degli  atti  amministrativi  in  funzione  della  loro
natura. 
    L'applicazione dello strumento di cui al  citato  art.  43,  come
nella   fattispecie,   potrebbe   essere   reiterata    all'infinito,
rappresentando  una  comoda  e  sbrigativa  alternativa,  a  mo'   di
scorciatoia, al piu' complesso  (ma  indubbiamente  piu'  garantista,
sotto molteplici aspetti, per i soggetti destinatari dalle  procedure
ablative), al procedimento ordinario  ed  alla  sua  rinnovazione,  a
conferma  di  come  uno  strumento  che  era  stato  concepito   come
straordinario  e'  diventato  strumento   ordinario,   con   relativa
vanificazione dei principi di certezza giuridica e  di  tutela  delle
posizioni giuridiche; il Collegio ha tentato, inutilmente, praticando
il canone ermeneutico dell'interpretazione adeguatrice, di utilizzare
tutti gli strumenti ermeneutica quali riconosciuti per  trarre  dalla
citata  disposizione  censurata  un  significato   costituzionalmente
corretto. 
    7. - In relazione all'art.  117  Cost.,  il  tribunale  non  puo'
ignorare quanto di recente (Corte cost., 24  ottobre  2007,  n.  349)
dichiarato con riguardo all'art. 5-bis del  d.l.  n.  333  del  1992,
convertito in legge n. 359  del  1992,  il  cui  comma  7-bis,  quale
introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge n.  662  del  1996,  e'
stato dichiarato  incostituzionale  in  quanto  non  prevederebbe  un
ristoro integrale del  risarcimento  del  danno  subito  per  effetto
dell'occupazione acquisitiva da parte della pubblica amministrazione,
corrispondente al valore di mercato  del  bene  occupato,  dunque  in
contrasto con gli obblighi internazionali  sanciti  dall'art.  1  del
Protocollo addizionale alla C.E.D.U. e con l'art. 117,  primo  comma,
cost. Quest'ultima disposizione condiziona l'esercizio della potesta'
legislativa dello Stato e delle Regioni al  rispetto  degli  obblighi
internazionali, tra i quali indubbiamente rientrano quelli  derivanti
dalla C.E.D.U., rendendo inconfutabile la maggior forza di resistenza
delle norme C.E.D.U. rispetto  alle  leggi  ordinarie  successive  ed
attraendole nella sfera di competenza della Consulta, dal momento che
l'asserita incompatibilita' fra  norma  legislativa  ordinaria  e  la
norma  C.E.D.U.  si  presenta  come  una  questione  di  legittimita'
costituzionale per eventuale violazione dell'art. 117,  primo  comma,
cost. quale non puo' ritenersi operante solo nell'ambito dei rapporti
fra lo Stato e le regioni. 
    Nella fattispecie il contestato art. 43 non  appare  conforme  ai
principi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo,  che  hanno
una diretta  rilevanza  nell'ordinamento  interno  (art.  117,  primo
comma, Cost., secondo cui  le  leggi  devono  rispettare  i  «vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario»") e lo stesso art. 56 (F) del
Trattato di Maastricht (modificato dal  Trattato  di  Amsterdam),  in
base al quale «L'Unione rispetta i diritti  fondamentali  quali  sono
garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali in quanto  principi  generali
del diritto comunitario».  La  costante  giurisprudenza  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo (20 aprile 2006; 15 novembre  2005;  17
maggio 2005) ha sul punto piu' volte riaffermato il diretto contrasto
con l'art. 1, prot. 1, della Convenzione della prassi  interna  sulla
«espropriazione    indiretta»,    secondo    cui    l'Amministrazione
diventerebbe proprietaria del bene in assenza di un  atto  ablatorio;
le  norme  della  C.E.D.U.   del   resto   integrano   il   parametro
costituzionale ed e' necessario che siano conformi alla Costituzione,
mentre lo scrutinio di costituzionalita' nei loro riguardi  non  puo'
limitarsi  alla  possibile  lesione  dei  principi  e   dei   diritti
fondamentali o dei principi supremi, ma si estende ad ogni profilo di
contrasto tra le «norme interposte» e quelle costituzionali. 
    8. - Quanto all'art. 76  Cost.,  va  Premesso  che  la  legge  n.
59/1997 ha disposto che la legge annuale di  semplificazione  prevede
la delegificazione di  procedimenti  amministrativi  ed  il  riordino
normativo di vari settori dell'ordinamento; in particolare, a  fronte
di un «caos normativop, con redazione dei Testi Unici previsti  dagli
artt.  7  ed  8  della  legge  n.  50/1999  si  e'   effettuata   una
codificazione per settori delle disposizioni, anche di rango diverso,
stratificatesi nel corso degli anni, raccogliendosi le norme di grado
secondario,  relative  ai  procedimenti  gia'  delegificati,   e   le
disposizioni legislative rimaste estranee a tale fenomeno. 
    In  considerazione   della   contemporanea   vigenza   di   norme
eterogenee, concernenti ogni fase del procedimento espropriativo,  si
ritenne di non riportare nel Testo Unico tutte le  norme  in  vigore,
redigendosi  percio'  un  articolato  di   carattere   generale   con
l'abrogazione  di  tutte  le  precedenti  normative,  generali  o  di
settore. Il risultato e' concepire il provvedimento di esproprio come
l'atto terminale di un terzo procedimento, spesso di carattere dovuto
in quanto l'amministrazione si e' immessa nel possesso  del  bene  in
base all'ordinanza di occupazione d'urgenza, collegato agli altri due
precedenti  procedimenti  dell'imposizione  del  vincolo  preordinato
all'esproprio  e  della  dichiarazione  di  pubblica   utilita'   che
interviene con l'approvazione del progetto definitivo. 
    8.1. - Tuttavia l'art. 7,  comma  3,  lett.  d)  della  legge  n.
50/1999 ha unicamente previsto che il Governo  desse  luogo  al  mero
«coordinamento  formale  del  testo   delle   disposizioni   vigenti,
apportando,  nei  limiti  di  detto   coordinamento,   le   modifiche
necessarie per garantire  la  coerenza  logica  e  sistematica  della
normativa anche al fine di  adeguare  e  semplificare  il  linguaggio
normativo». 
    Ora, non pare che la norma della cui costituzionalita' si  dubita
trovi  riferimento  o  principi  e   criteri   direttivi   in   norme
preesistenti,  ne'  puo'  agevolmente  sostenersi   che   la   figura
dell'acquisizione costituisca una modifica necessaria  per  garantire
la coerenza logica e sistematica  della  normativa;  non  era  dunque
consentito, eccedendo i limiti della delega, contemplare l'emanazione
di un legittimo provvedimento di acquisizione  sanante,  pur  con  la
considerazione  che  si  tratta   dell'unico   rimedio   riconosciuto
dall'ordinamento  alla  pubblica  amministrazione  per   evitare   la
restituzione dell'area in favore del privato. La norma si pone dunque
radicalmente in contrasto con le finalita' che, attraverso i principi
ed i criteri enunciati, la legge delega si e' prefissata.